Industria 4.0: non c’è trasformazione digitale senza sostenibilità, e viceversa

INDUSTRIA 4.0

Non c’è trasformazione digitale senza sostenibilità, e viceversa

 

Industria 4.0: fino a un paio di anni fa, in molti la conoscevano, ma in pochi erano partiti. Oggi le cose stanno iniziando a cambiare, anche grazie a fondi e piani di incentivazione e sviluppo come Transizione 4.0 che mirano ad agevolare la quarta rivoluzione industriale, per una produzione sempre più digitale, automatizzata ed interconnessa. Le tecnologie digitali hanno in questo senso un ruolo fondamentale: dall’utilizzo dei dati alla connettività, dall’IoT (Internet of Things) al “machine learning”, fino alla cobotica (collaborazione tra essere umano e robot) e alla realtà aumentata, il digitale può e deve aiutare in questo percorso sotto certi aspetti obbligato. Ma quali sono le principali sfide alle quali rispondere per le aziende che vogliono gestire il percorso di trasformazione digitale necessario nell’ambito di Industria 4.0?

Le sfide per le aziende che vogliono intraprendere la trasformazione digitale

“Ogni azienda ha le sue specificità, che richiedono lo studio di un percorso di trasformazione digitale unico, tenendo conto anche di fattori ‘soft’ come ad esempio la disponibilità di competenze”, spiega Claudio GiulianettiVice Presidente – Industrial Automation di Schneider Electric Italia: “La sfida di partenza, naturalmente, è realizzare la concreta convergenza tra le tecnologie operative e le tecnologie IT: comprendere come digitalizzare al fine di realizzare in modo efficace e efficiente dal punto di vista dei costi la connettività ‘dal campo al cloud’ che meglio risponde ai business case individuati.”

Realizzare tutto ciò a livello di sito produttivo individuale, con le soluzioni compatte e collaudate oggi disponibili, è più facile che in passato, spiega Giulianetti: “Le sfide complesse arrivano laddove si voglia ottenere di più, con una digitalizzazione in ottica multi-sito o che riguardi la filiera entro cui un’azienda è operativa. In tutto questo, ora che il mondo industriale è più ampiamente inserito in un contesto digitale, assume un ruolo di primo piano, sia come sfida sia come abilitatore, la cybersecurity: è imprescindibile proteggere asset e risorse per poter fare leva in modo efficace, e scalabile, su nuovi servizi digitali.” Come quelli che, ad esempio, negli ultimi mesi hanno consentito a tante aziende del settore di gestire la remotizzazione forzata di numerosi processi e attività.

“La sfida è prima di tutto culturale”, sottolinea Stefano Epifani, Presidente del Digital Transformation Institute (DTI) e docente di Internet Studies de La Sapienza: “Talvolta trascuriamo il fatto che le competenze vengono soltanto dopo la consapevolezza. Come dire che per capire come si fa a scalare una montagna si deve avere la consapevolezza del fatto che quella montagna va scalata, solo dopo si potrà fare lo sforzo necessario per acquisire le competenze indispensabili per scalarla. Decidere di scalarla effettivamente, è poi ancora un altro paio di maniche.” Per Epifani, in altre parole, è dalla cultura che viene la consapevolezza e dalla consapevolezza arrivano le competenze. E con la cultura si acquisisce anche quella visione sul futuro che consente di prendere il coraggio necessario per cambiare: “Talvolta ci sono competenze, ci sono le opportunità, ma manca visione. E questo vale per le aziende, ma anche per le Istituzioni e per i Paesi.”

L’importanza dei Competence Center

L’Italia si è dotata di un piano di incentivazione e sviluppo chiamato oggi Transizione 4.0 per supportare la transizione digitale e che dà grande importanza ai Competence Center, in cui il mondo della ricerca e quello accademico, il mondo imprenditoriale e i player della trasformazione digitale stessa trovano un luogo fisico e di network che accelera, con l’interazione e l’integrazione, l’innovazione dell’industria italiana e la diffusione capillare della consapevolezza e della prontezza ad abbracciare la digitalizzazione. Ora resta da capire come le aziende possano sfruttare al meglio le opportunità del modello sviluppato a partire da quello che era il Piano Calenda, e quali le criticità da affrontare. L’Italia, oggi, si trova infatti vincolata alle scelte europee, e su queste deve rimodellare processi che, proprio riguardo all’ecosistema di Impresa 4.0, hanno portato ad una eccessiva frammentazione fatta di PID, Digital Innovation Hub, Centri di Trasferimento Tecnologico e Competence Center tra i quali le aziende devono barcamenarsi per comprendere in che direzione andare. In questo la necessità di allinearsi a modelli europei aiuterà senz’altro a semplificare la vita alle aziende che intendono cogliere la sfida della trasformazione digitale: questo processo è già partito per alcuni dei Competence Center italiani.

“Siamo assolutamente favorevoli alla scelta di integrare nei piani che si sono via via succeduti per incentivare la digitalizzazione in ambito industriale la creazione di strutture come i Competence Center”, afferma Claudio Giulianetti: “Infatti noi stessi siamo partner di uno di essi, SMACT, il Competence Center del Nord Est che ha sede a Padova, in cui abbiamo un ruolo concreto sia all’interno dello showcase tecnologico in realizzazione, sia in ottica di formazione e accelerazione del trasferimento di competenze verso le aziende e verso i giovani che frequentano, in particolare, gli ITS del Nord Est.”

Cosa deve cercare un’impresa 4.0 nei propri partner

Nella trasformazione digitale, soprattutto in un contesto come quello italiano, drammaticamente arretrato rispetto al resto d’Europa, il ruolo dei partner tecnologici è fondamentale. Ma cosa deve cercare un’impresa nei propri partner? “Lavorare in partnership, in un contesto che oggi come non mai vive una profonda trasformazione non solo digitale, è una necessità vitale”, spiega sempre l’esperto di automazione industriale di Schneider Electric: “La complessità delle sfide da gestire, la velocità con cui è necessario affrontarle per restare competitivi, è tale che pensare che un’unica realtà, da sola, possa gestire tutto il processo di innovazione non è possibile. Capacità di sviluppo e competenze distintive restano naturalmente centrali per l’azienda, ma è nell’ecosistema che è possibile trovare più rapidamente ciò che completa, arricchisce la cassetta degli strumenti per uno specifico progetto. Perché questo approccio funzioni è necessario adottare un approccio basato sulla fiducia e sulla giusta apertura.” E in effetti di ottimi esempi in questo senso iniziano ad essercene diversi, un ecosistema di partnership che coinvolgono di migliaia di realtà di tutto il mondo, come la System Integrator Alliance, la rete EcoXpert che raggruppa le aziende specializzate in soluzioni ad alto impatto in efficienza energetica e sostenibilità, i partner del mondo IT.

La sostenibilità come leva di sviluppo nella trasformazione digitale

Oggi si parla molto di sostenibilità, anche al centro del Recovery Fund, ma quanto essa impatta effettivamente nel percorso di trasformazione digitale delle imprese, e come la si può trasformare in una leva di sviluppo? “La sostenibilità è indubbiamente una leva di sviluppo, specie se la si intende con ampio respiro: sostenibilità ambientale, circolarità, ma anche sostenibilità economica e sociale”, fa presente Claudio Giulianetti: “Fare efficienza energetica, adottare soluzioni per ottimizzare l’uso di risorse e materie prime, scegliere componenti e materiali il più possibile green, progettare prodotti e soluzioni in ottica di circolarità sono tutte azioni valide che – unite in un percorso di trasformazione più profondo in cui il digitale e il cambiamento culturale si uniscono – moltiplicano il loro impatto positivo sul business.”

In pratica, dobbiamo entrare nell’ordine di idee secondo cui, se si vuole guardare al futuro dell’impresa, non esiste futuro che non sia sostenibile. Il concetto di futuro è insito nella definizione stessa del concetto di sostenibilità, ragionare di futuro vuol dire quindi ragionare di sostenibilità. E visto che oggi la trasformazione digitale è imprescindibile se si vuole guardare al futuro, ecco che lo è anche facendolo in ottica di sostenibilità. “Dobbiamo uscire dal paradigma limitante ed autolesionista per il quale la sostenibilità riguarda solo l’ambiente e riflettere sul fatto che essa attiene il modello di società nel quale si decide di vivere. E non è pensabile, oggi, pensare una società che sia esente degli effetti della trasformazione digitale, nel bene e nel male”, evidenzia Stefano Epifani: “In questo la sostenibilità rappresenta da una parte un obiettivo della digitalizzazione, dall’altra uno strumento per ascriverla ad un percorso di sviluppo che contribuisca al miglioramento della società stessa.”